martedì 17 settembre 2013

Papa Francesco sulla scuola e gli insegnanti: riflessione dell'allora Cardinale Bergoglio

Il testo che segue è solo uno stralcio della più ampia riflessione di Bergoglio. Se ne riporta la parte già pubblicata dal quotidiano Avvenire l'11 settembre 2013

DI JORGE MARIO BERGOGLIO 

Vorrei in particolare richiama­re l’attenzione di tutti coloro che oggi hanno il compito di guidare i bambini e gli adolescenti nel loro processo di maturazione . Credo sia indispensabile cercare di accostarsi alla realtà che i ragazzi vi­vono nella nostra società e interro­garsi sul ruolo che noi rivestiamo in essa. Le pressioni del mercato, con le sue proposte di consumo e la sua spietata competitività, la mancanza di risorse economiche, sociali, psi­cologiche e morali, la sempre mag­giore gravità dei rischi da evitare… tutto ciò fa sì che per le famiglie di­venga sempre più difficile svolgere la propria funzione e che la scuola resti sempre più sola nel compito di con­tenere, sostenere e promuovere lo sviluppo umano dei suoi alunni. 

Questa solitudine finisce, inevitabil­mente, per essere vissuta come su­peresigenza. So che voi, cari docenti, vi state fa­cendo carico non solo di ciò per cui vi siete preparati, ma anche di una molteplicità di domande, esplicite o implicite, che vi affliggono. A questo si aggiungono i mezzi di comunica­zione (che non si capisce bene se aiutino o confondano ancora di più le cose) che trattano temi delicatissi­mi con la stessa leggerezza con cui espongono le vicende personali dei personaggi dello spettacolo. E tutto questo mentre assumiamo sempre di più le sembianze di una società del controllo in cui nessuno si fida di nessuno, mentre all’inedita attenzio­ne giustamente prestata alle molte forme di negligenza e di abuso ven­gono addossate tanto la cattiva abi­tudine di sventolare denunce senza controllare sufficientemente le fonti quanto la mancanza di scrupolo di personaggi che nelle istituzioni ve­dono soltanto un’occasione di gua­dagno a qualsiasi costo. E quindi?


Cosa dovete fare voi che già siete stanchi e pieni di responsabilità? Ciò che non si può mettere in discussio­ne è che voi vi confrontate quotidia­namente con ragazzi e ragazze in carne e ossa, con possibilità, deside­ri, paure e carenze reali. Ragazzi che stanno lì, presenti, in tutta la loro realtà e si pongono davanti a un a­dulto chiedendo, sperando, critican­do, pregando a modo loro, infinita­mente soli, bisognosi, spaventati, con piena fiducia in voi, sebbene a volte la dimostrino con aria indiffe­rente, disprezzo o rabbia; attenti a cogliere se qualcuno offre loro qual­cosa di diverso… o gli sbatte di nuo­vo la porta in faccia. Una responsa­bilità immensa che ci richiede, non soltanto una scelta etica, non solo un impegno consapevole e faticoso, ma anche, e in modo basilare, un’a­datta maturità personale. 

La maturità è qualcosa di più della crescita. Non è semplice definire in cosa consista la maturità. Soprattut­ma to perché più che un concetto, la maturità sembra essere una metafora. Presa in prestito dalla frutti­coltura? Non lo so. Se così fosse, sarebbe subito necessario in­dicare che esiste una differenza tra le mele, le pesche e gli esseri umani. Mentre il pieno svilup­po (perché di questo si tratta) dei frutti è un processo che dipende di­rettamente da specifici processi ge­netici del vegetale e da adeguate condizioni ambientali, nel caso della maturità umana non si tratta soltan­to di genetica e di alimentazione. Se la maturità fosse soltanto lo sviluppo di qualcosa di preesistente all’inter­no del codice genetico, allora non ci sarebbe davvero un granché da fare.

Il dizionario della Real Academia of­fre un secondo significato per matu­rità: «capacità di giudizio o pruden­za, buon senso». E qui ci addentria­mo in un territorio ben diverso da quello della biologia. Perché l’essere prudenti, l’avere giudizio e buon senso non dipendono da fattori di crescita meramente quantitativa, da tutta una catena di fattori che si concentrano in una persona. Per essere più esatti, al centro della sua libertà. Quindi, la maturità, da questo punto di vista, potrebbe essere intesa come la capacità di usare la nostra libertà in modo 'sensato', 'attento'. Non mi compete, in quanto pastore, 'da­re lezioni' di psicologia, ma è mio compito invece proporvi una serie di considerazioni relative all’orienta­mento del nostro libero agire. Se parliamo di buon senso e attenzio­ne, la parola, il dialogo, e persino l’insegnamento avranno molto a che vedere con la maturità. Perché, per riuscire ad agire in quel modo sensa­to, una persona deve aver accumu­lato molte esperienze, fatto numero­se scelte, messo in pratica molte ri­sposte alle sfide della vita. È ovvio che non può esserci buon senso sen­za tempo. Ma riprendiamo il concet­to della persona matura come di qualcuno che usa in un determinato modo la sua libertà. Qual è, ci do­mandiamo subito, quel modo? Per­ché a questo punto sorge un altro problema: esiste una sorta di tribu­nale della maturità? Chi decide quando qualcosa è sensato e pru­dente? Gli altri (di chiunque si trat­ti)? Oppure ognuno in base alla pro­pria esperienza e al proprio punto di vista?

Se, in prima istanza, dobbiamo met­tere in relazione la maturità e il tem­po, in seguito dovremo inserirci al­l’interno del conflitto tra l’individuo e gli altri. La libertà nel tempo, la li­bertà nella società. Questo è dunque il percorso che vi propongo. Un per­corso che, come avremo modo di vedere, ci permetterà di comprende­re la maturità umana in una pro­spettiva aperta. Perché alla fine ci troveremo di fronte a un’ultima di­mensione della maturità: l’invito di­vino a trascendere l’orizzonte del­l’intersoggettivo e sociale per aprirci all’elemento religioso, ovvero, si pas­serà dalla maturità etica alla santità.

Avvenire-Agorà, 11 settembre 2013

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